MI RITORNI IN MENTE
Al liceo avevo una compagna di nome Isabella. Noi la chiamavamo Isa: Isa la Frizza o Isa la Sbarazza.
La Isa era una ragazza smunta, sia dentro che fuori.
Non era nè alta nè bassa, più magra che grassa, con un fisico che non diceva proprio niente.
Anche i suoi vestiti erano insignificanti.
Nemmeno il suo viso era espressivo: aveva la carnagione chiara, un po' rosata, con una miriade di lentiggini; gli occhi piccoli, marrocini-verdini, con le ciglia corte e chiare. I capelli, lunghi fino alle spalle, erano lisci, rossicci come quelli di certi inglesi. Ecco, la Isa sembrava uscita da una docusoap della BBC sul proletariato di Liverpool o Sheffield.
La Isa aveva un carattere piatto: non era antipatica, non era cattiva, non era stronza; non era nemmeno ironica, spiritosa, arguta.
Non era associale: aveva il suo gruppetto di amici nella classe e fuori.
Aveva persino un ragazzo, che frequentava la scuola vicino alla nostra e con il quale tornava sempre a casa insieme. Anche il suo ragazzo era abbastanza scialbo, però se lo guardavi bene notavi una vaga somiglianza con Valerio Mastrandrea.
La Isa andava bene a scuola: era diligente e precisa. Anche i professori concordavano però nel dire che le mancavano lo spirito, l'energia, il carattere per essere brillante e non semplicemente studiosa.
A questo punto avrete capito che i soprannomi "Isa la Frizza" o "Isa la Sbarazza" le erano stati dati per sottolineare il suo carattere spumeggiante. Non è solo questo il motivo per cui l'ho battezzata così: la Isa aveva infatti un'unica cosa sopra le righe, e questa cosa era il suo alito.
L'alito della Isa era qualcosa di immondo: era l'afrore della putrescenza, i measmi di un cane decomposto; insomma, faceva proprio schifo o, detto in modo più grazioso e subdolo, era un alito frizzante e sbarazzino.
Oggi, quando il tipo dietro di me in metropolitana ha aperto la bocca, ho sentito lo stesso odore. E il mio pensiero è corso a Isa la Frizza.